UN FALSARIO A PIEDE LIBERO
(Dal servizio di presentazione) - Se questo documento fosse vero bisognerebbe riscrivere all’istante e di sana pianta tutta la storia sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. L’intestazione è del Ministero della Difesa, Direzione generale S.B. - che sta per Stay Behind, ossia Gladio, personale militare della Marina.
Si tratta di un documento a distruzione immediata, peraltro non previsto dalla regolamentazione, che proprio immediatamente non è stato distrutto, visto che è in circolazione da oltre otto anni.
Ma in tutto questo tempo nessuno si è preoccupato di accertarne la veridicità o la falsità, denunciando i presunti falsari. Nemmeno chi ha archiviato le sette inchieste giudiziarie su uno degli episodi più controversi e bui della storia dell’Italia repubblicana.
Ma torniamo al documento. Nell’oggetto si legge: Autorizzazione Ministeriale riferita a G-219. E’ autorizzato ad ottenere informazioni di terzo grado e più, se utili alla condotta di operazioni di ricerca contatto con gruppi del terrorismo Medio Orientale al fine di ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell’onorevole Aldo Moro.
Fin qui nulla di strano. Ma l’aspetto più sconcertante del documento è rappresentato dalla data. E’ quella del 2 marzo del 1978. Ossia quattordici giorni prima del rapimento del leader democristiano e dell’uccisione della sua scorta in via Fani.
Una parte dei nostri servizi segreti sapeva con due settimane d’anticipo che Moro sarebbe stato rapito. Questa segnalazione avrebbe dovuto far scattare la massima allerta nella scorta del politico.
Eppure quel 16 Marzo del 1978 i mitra del maresciallo Oreste Leonardi, dell’appuntato Domenico Ricci, degli agenti Raffaele Iozzino e Giulio Rivera erano nel bagagliaio della loro vettura. 5 vite che si sarebbero potute salvare. Perché Aldo Moro non era al corrente del pericolo? E perché in tutti questi anni è calato il silenzio su questo documento?
E ancora perché non è stata resa nota l’esistenza di una Gladio Bis operante all’Estero con compiti non sempre ortodossi, come affermato tra le righe da Beppe Pisanu in un’intervista al Corriere della Sera il 2 Aprile del 1997.
Esisteva una struttura dei servizi che operava armata all’Estero non con compiti anti-invasione come è stato sostenuto, ma con compiti ben diversi, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10 della legge 801 del 77 che disciplina l’attività dei servizi di intelligence.
Cosa facessero questi Gladiatori all’Estero, e da chi prendevano ordini, non è dato sapere.
Quale sia stato il ruolo della P2 nel caso Moro rimane tuttora un mistero. Eppure ci sono documenti come il tesserino di Lucio Luciani, pseudonimo di Licio Gelli, che gli consentiva di presenziare ai vertici che si tennero nei 55 giorni di prigionia di Moro, presso il ministero della Marina.
A cosa servissero questi vertici, chi vi faceva parte e soprattutto quali direttive venivano impartite e a chi non si è mai saputo. L’unica certezza è rappresentata dal fatto che in quel periodo i vertici delle forze armate e di polizia, ossia chi avrebbe dovuto salvare Moro, erano affiliati alla loggia. Ma mai nessuno ha voluto indagare su questo aspetto.
Perché nel 1987 Bettino Craxi, nel suo rifugio ad Hammamet in Tunisia esortava a tacere, in una lettera agli ex appartenenti a Gladio, nell’interesse del Paese, fino a che, parole testuali “non siamo pronti a rendere pubbliche difficili libertà, che potrebbero provocare reazioni illiberali”?
Quali sono queste difficili libertà? Perché potrebbero provocare reazioni illiberali? Perché il presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino, non si recò in Tunisia per ascoltare l’ex numero uno del Partito Socialista? Chi glielo impedì? Pellegrino era al corrente di preavvisi sull’attentato?
Sono solo alcuni dei grandi interrogativi sulla vicenda Moro che dopo trent’anni non hanno risposte. Tutto questo mentre la figlia dello statista, Maria Fida Moro ha di recente manifestato la sua volontà di abbandonare l’Italia per protesta, mentre la politica pensa ad altro, e il compito di accertare la verità e di interessare la magistratura è nelle mani di pochi coraggiosi personaggi.
Si tratta di un documento a distruzione immediata, peraltro non previsto dalla regolamentazione, che proprio immediatamente non è stato distrutto, visto che è in circolazione da oltre otto anni.
Ma in tutto questo tempo nessuno si è preoccupato di accertarne la veridicità o la falsità, denunciando i presunti falsari. Nemmeno chi ha archiviato le sette inchieste giudiziarie su uno degli episodi più controversi e bui della storia dell’Italia repubblicana.
Ma torniamo al documento. Nell’oggetto si legge: Autorizzazione Ministeriale riferita a G-219. E’ autorizzato ad ottenere informazioni di terzo grado e più, se utili alla condotta di operazioni di ricerca contatto con gruppi del terrorismo Medio Orientale al fine di ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell’onorevole Aldo Moro.
Fin qui nulla di strano. Ma l’aspetto più sconcertante del documento è rappresentato dalla data. E’ quella del 2 marzo del 1978. Ossia quattordici giorni prima del rapimento del leader democristiano e dell’uccisione della sua scorta in via Fani.
Una parte dei nostri servizi segreti sapeva con due settimane d’anticipo che Moro sarebbe stato rapito. Questa segnalazione avrebbe dovuto far scattare la massima allerta nella scorta del politico.
Eppure quel 16 Marzo del 1978 i mitra del maresciallo Oreste Leonardi, dell’appuntato Domenico Ricci, degli agenti Raffaele Iozzino e Giulio Rivera erano nel bagagliaio della loro vettura. 5 vite che si sarebbero potute salvare. Perché Aldo Moro non era al corrente del pericolo? E perché in tutti questi anni è calato il silenzio su questo documento?
E ancora perché non è stata resa nota l’esistenza di una Gladio Bis operante all’Estero con compiti non sempre ortodossi, come affermato tra le righe da Beppe Pisanu in un’intervista al Corriere della Sera il 2 Aprile del 1997.
Esisteva una struttura dei servizi che operava armata all’Estero non con compiti anti-invasione come è stato sostenuto, ma con compiti ben diversi, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10 della legge 801 del 77 che disciplina l’attività dei servizi di intelligence.
Cosa facessero questi Gladiatori all’Estero, e da chi prendevano ordini, non è dato sapere.
Quale sia stato il ruolo della P2 nel caso Moro rimane tuttora un mistero. Eppure ci sono documenti come il tesserino di Lucio Luciani, pseudonimo di Licio Gelli, che gli consentiva di presenziare ai vertici che si tennero nei 55 giorni di prigionia di Moro, presso il ministero della Marina.
A cosa servissero questi vertici, chi vi faceva parte e soprattutto quali direttive venivano impartite e a chi non si è mai saputo. L’unica certezza è rappresentata dal fatto che in quel periodo i vertici delle forze armate e di polizia, ossia chi avrebbe dovuto salvare Moro, erano affiliati alla loggia. Ma mai nessuno ha voluto indagare su questo aspetto.
Perché nel 1987 Bettino Craxi, nel suo rifugio ad Hammamet in Tunisia esortava a tacere, in una lettera agli ex appartenenti a Gladio, nell’interesse del Paese, fino a che, parole testuali “non siamo pronti a rendere pubbliche difficili libertà, che potrebbero provocare reazioni illiberali”?
Quali sono queste difficili libertà? Perché potrebbero provocare reazioni illiberali? Perché il presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino, non si recò in Tunisia per ascoltare l’ex numero uno del Partito Socialista? Chi glielo impedì? Pellegrino era al corrente di preavvisi sull’attentato?
Sono solo alcuni dei grandi interrogativi sulla vicenda Moro che dopo trent’anni non hanno risposte. Tutto questo mentre la figlia dello statista, Maria Fida Moro ha di recente manifestato la sua volontà di abbandonare l’Italia per protesta, mentre la politica pensa ad altro, e il compito di accertare la verità e di interessare la magistratura è nelle mani di pochi coraggiosi personaggi.
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